Come accennato in apertura, uno dei punti caldi nella legislazione sul diritto d’autore è rappresentato dalla regolamentazione delle eccezioni al monopolio sulla riproduzione delle opere. Con “eccezioni al diritto d’autore” si intendono tutte le attività che, sebbene in contrasto con le prerogative concesse in esclusiva agli autori ed editori, vengono ammesse in quanto indispensabili per la diffusione della cultura e la tutela dell’interesse pubblico. Si possono fare gli esempi della copia privata, della possibilità di citazione di porzioni di opere letterarie, delle deroghe al divieto di copia fornite per fini didattici ad istituzioni quali scuole o biblioteche, della possibilità di riproduzione in diverso formato di opere altrimenti non fruibili a persone portatrici di handicap.
Come già illustrato nella sezione 3, i considarando in apertura dell’EUCD contengono per la maggior parte considerazioni di carattere strettamente economico, ed ignorano completamente la necessità di una chiara regolamentazione dei diritti degli utenti.
Anche nel resto della direttiva si può rilevare come, nella pratica, non venga portata nessuna novità legale nell’ambito delle eccezioni al diritto d’autore. Tutte le indicazioni in questo senso sono opzionali, e lasciate alla decisione dei singoli Stati. A tal proposito è emblematico l’articolo 5, che arriva al punto di elencare una ventina di possibili eccezioni al diritto d’autore concedibili dai singoli Paesi, senza che nessuna di esse venga richiesta all’intera Unione Europea.
La maggior parte delle eccezioni elencate, peraltro, è attualmente riconosciuta a livello mondiale. Si può fare l’esempio della possibilità di citazione, sancita anche dall’articolo 10 della convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie ed artistiche [16]):
Articolo 10
Ma nonostante questo, e nonostante la ricerca di una “certezza normativa,” l’EUCD non fornisce alcuna base e regolamentazione europea per il diritto di citazione, limitandosi a considerarla come una possibile concessione dei singoli Stati membri:
Articolo 5
Eccezioni e limitazioni
L’unico caso in cui viene stabilita una deroga “europea” all’esclusività del diritto di copia riguarda un caso in cui l’eccezione porta dei diretti vantaggi anche agli stessi detentori dei diritti sulle opere. La deroga riguarda infatti la creazione di copie temporanee effettuate, per esempio, dal meccanismo di “caching” di un browser Web, che rende possibile l’accesso a materiale pubblicato via Internet:
Articolo 5
Eccezioni e limitazioni
di un’opera o di altri materiali.
Un livello di innovazione tanto ristretto in un ambito tutt’ora privo di chiarezza legislativa è sicuramente insufficiente per una direttiva che punta ad “armonizzare” la legislazione europea sul diritto d’autore.
Anche per quanto riguarda la regolamentazione degli effetti delle già citate “misure tecnologiche” a protezione delle opere, non si dovrebbe ignorare il fatto che i dispositivi di controllo della copia e dell’accesso potrebbero imporre delle condizioni di uso troppo severe per gli utenti. Eppure, anche in questo campo la direttiva mantiene la sua vaghezza, basandosi su indefinite “misure volontarie” che, come detto nella sezione 3, dovrebbero essere intraprese dai detentori dei diritti per la tutela degli utenti:
Articolo 6
Obblighi relativi alle misure tecnologiche
Uno Stato membro può inoltre adottare siffatte misure nei confronti del beneficiario di un’eccezione di una limitazione prevista in conformità dell’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), a meno che i titolari non abbiano già consentito la riproduzione per uso privato nella misura necessaria per poter beneficiare dell’eccezione o limitazione in questione e in conformità delle disposizioni dell’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), e paragrafo 5, senza impedire ai titolari di adottare misure adeguate relativamente al numero di riproduzioni conformemente alle presenti disposizioni.
In questo passaggio non vi è alcuna indicazione che stabilisca come valutare se le “misure volontarie” intraprese dai detentori dei diritti sulle opere siano o meno soddisfacenti. Inoltre leggendo poche righe più avanti (comma 4) si vede come le generiche garanzie per gli utenti stabilite sopra vengono di fatto annullate qualora l’opera protetta da “efficaci misure tecnologiche” sia fornita, per esempio, attraverso un servizio on-line:
Articolo 6
Obblighi relativi alle misure tecnologiche
Le disposizioni di cui al primo e secondo comma del presente paragrafo non si applicano a opere o altri materiali a disposizione del pubblico sulla base di clausole contrattuali conformemente alle quali i componenti del pubblico possono accedere a dette opere e materiali dal luogo e nel momento scelti individualmente.
Un altro aspetto interessante è la pressante richiesta di un “equo compenso” che i detentori dei diritti sulle opere dovrebbero ricevere per un gran numero di eccezioni al diritto d’autore — ovvero, per ogni messa in pratica dei diritti degli utenti.
. . .
Articolo 5
Eccezioni e limitazioni
Come si vede, le richieste di “equo compenso” sono estremamente ampie e vaghe, dato che riguardano praticamente qualunque copia personale e vari casi di utilizzo per fini non commerciali; inoltre, come si vede nel punto 36, gli Stati membri possono anche decidere di applicarle in casi non previsti dalla direttiva. Per lo meno, il punto 35 contiene alcune righe in cui si prevede che l’“equo compenso” possa, in certi casi, essere nullo:
Anche in questo caso, il possibile “danno” a carico del detentore dei diritti viene anteposto all’interesse degli utenti — e, in ogni caso, non vengono chiariti i parametri con cui tale “danno” dovrebbe essere quantificato. Una direttiva orientata all’“armonizzazione legislativa” del diritto d’autore potrebbe essere più precisa, e definire più chiaramente i casi in cui utenti o istituzioni abbiano diritto ad una “eccezione al diritto d’autore” che non preveda obbligo di pagamento. Data la vaghezza delle norme previste dall’EUCD, i vari Stati europei potrebbero adottare legislazioni in materia completamente diverse tra loro. Ma, come già detto, i diritti degli utenti non sembrano essere l’obiettivo dell’“armonizzazione” ricercata dall’EUCD.
L’incertezza legale sui diritti degli utenti è rilevabile anche in altri passaggi meno macroscopici. È il caso dei paragrafi nei quali l’EUCD prevede una tutela legale per le informazioni che, allegate alle opere, possono essere utilizzate per l’identificazione e la determinazione dei diritti d’autore annessi. Questa tutela è richiesta dal già citato trattato WIPO sul diritto d’autore, e a questo proposito, nei considerando che aprono la direttiva si può leggere:
Il tema viene poi affrontato nell’articolo 7 (che peraltro rispecchia in modo quasi letterale l’articolo 12 del trattato WIPO sul diritto d’autore):
Articolo 7
Obblighi relativi alle informazioni sul regime dei diritti
ove chi compie tali atti sia consapevole, o si possa ragionevolmente presumere che sia consapevole, che con essi induce, rende possibile, agevola o dissimula una violazione di diritti d’autore o diritti connessi previsti dalla legge o del diritto sui generis di cui al capitolo III della direttiva 96/9/CE.
La disposizione di cui al primo comma si applica quando uno qualsiasi degli elementi suddetti figuri su una copia o appaia nella comunicazione al pubblico di un’opera o di uno dei materiali protetti di cui alla presente direttiva o coperti dal diritto sui generis di cui al capitolo III della direttiva 96/9/CE.
Sebbene l’ambito di applicazione di questa norma sia ben definito e peraltro comprensibile (si tratta in effetti della tutela di semplici informazioni che accompagnano la distribuzione delle opere), si deve notare come la definizione di “informazioni sul regime dei diritti” comprenda anche «qualunque informazione circa i termini e le condizioni di uso dell’opera o di altri materiali» — nonostante la normativa europea non preveda nessuna regolamentazione per tali “condizioni d’uso”. L’EUCD, insomma, ammette la presenza di clausole che regolano l’utilizzo delle opere, senza peraltro che nessuna direttiva ne stabilisca preventivamente gli ambiti di validità.
Come accennato in apertura, la regolamentazione del diritto d’autore è uno degli ambiti in cui gli interessi delle parti in causa (autori/editori ed utenti) sono più divergenti: mentre i primi tendono al consolidamento del monopolio su qualunque riproduzione delle proprie opere, i secondi sono interessati ad una maggiore accessibilità e libertà di utilizzo delle stesse. Le leggi che operano in questo settore dovrebbero garantire una mediazione tra i due interessi, che porti il massimo beneficio all’intera società.
Come già visto, l’EUCD non soddisfa in alcun modo tale requisito: fornisce nuove possibilità e prerogative ad autori/editori, senza equivalenti garanzie per gli utenti delle opere.
Il problema è lampante nel caso delle “misure tecnologiche” a protezione dei lavori coperti da diritto d’autore (vedi sezione 4): fornendo una tutela legale a queste ultime si sancisce di fatto la possibilità di influenzare e limitare l’uso quotidiano di un’opera regolarmente acquisita dagli utenti. A tale ampliamento delle prerogative concesse ai detentori dei diritti non corrisponde tuttavia una migliore definizione e regolamentazione dei diritti degli utenti, che garantisca comunque una possibilità di utilizzo equo delle opere da parte di questi ultimi: sembra anzi che la la regolamentazione dell’utilizzo “equo” sia demandata completamente alle stesse “misure tecnologiche”, che da sole dovrebbero stabilire quali utilizzi dell’opera siano concessi. La garanzia del “fair use” (che in diverse legislazioni indica la possibilità di utilizzo ragionevole di un’opera) viene insomma ridotta, se non eliminata.
La situazione è chiaramente illustrata nel documento sull’EUCD di Eurorights UK [24]: una misura di protezione tecnologica non può essere abbastanza flessibile da garantire in qualunque caso un utilizzo ragionevole dell’opera protetta. Per esempio, un sistema di accesso all’opera che impedisca la copia, ma cerchi allo stesso tempo di permettere la citazione di alcuni brani, non potrebbe che basarsi su algoritmi rigidi (come la fissazione di un massimo di parole copiabili in un giorno), che andrebbero facilmente ad interferire con un normale lavoro di studio o ricerca. Un errore nella selezione di un brano da citare, per esempio, potrebbe costringere l’utente ad attendere che trascorra un certo periodo di tempo prima che l’operazione possa essere ripetuta, o a procedere manualmente all’operazione di copia (situazione abbastanza surreale, viste le possibilità e le facilitazioni offerte dal formato digitale). Casi come questi sono tutt’altro che remoti, e si verificano già oggi — si pensi ai documenti in formato PDF in cui è disabilitata la possibilità di copiare porzioni di testo [24].
In modo ancora più paradossale, le restrizioni proprie dei sistemi di protezione digitale possono estendersi anche a lavori che sarebbero al di fuori dell’ambito dell’EUCD — per esempio alle opere che sono attualmente di pubblico dominio, essendo trascorso il periodo di validità del diritto esclusivo di utilizzazione economica. Si può fare l’esempio dell’edizione di “Alice nel paese delle meraviglie” pubblicata come e-book da Adobe [23], che limita la possibilità di citazione e di copia attraverso una licenza restrittiva e sistemi software di limitazione d’accesso, nonostante l’opera non sia più coperta da esclusiva sullo sfruttamento commerciale e sia per questo legalmente riproducibile e ridistribuibile (anche integralmente, per qualunque fine) da chiunque.
Nei casi in cui le “misure tecnologiche” a protezione delle opere impongano restrizioni troppo rigide, gli utenti potrebbero essere costretti a ricercare una tutela legale dei propri diritti — ma il fatto che tali diritti, in questi casi, non siano in alcun modo regolamentati a livello europeo riduce l’ambito di queste iniziative ad un livello locale. Gli esiti di simili azioni diventerebbero dipendenti dalla legislazione del Paese in cui esse sono intraprese, dalla forza legale della controparte, e dalla singola interpretazione fornita alle parole dell’EUCD che invitano alla ricerca di “mediazioni” e “misure volontarie” in caso di dispute di questo tipo. Ancora una volta si dimostra come l’“armonizzazione legale” ricercata dall’EUCD non coinvolga la tutela degli utenti. Non si può non rilevare come tali situazioni pongano i detentori dei diritti in una chiara situazione di vantaggio rispetto alle rivendicazioni dei consumatori: mentre per i primi vengono riconosciute garanzie e privilegi a livello europeo, per i secondi vengono dati solamente dei “suggerimenti,” applicabili a discrezione dei singoli Stati membri.
Oltretutto, questi “suggerimenti” non sono validi per le opere rese accessibili, per esempio, attraverso un abbonamento ad un servizio Internet: come visto sopra, l’articolo 6, paragrafo 4, comma 4 dell’EUCD non prevede che le restrizioni imposte agli utenti dalle “efficaci misure tecnologiche” siano regolamentate, qualora le opere siano rese disponibili on-line. Con il prograssivo aumento dell’utilizzo di Internet come strumento di diffusione della cultura, le conseguenze per gli utenti e per la società in generale potrebbero essere estremamente preoccupanti.
Le ampie richieste di un “equo compenso” che dovrebbe essere fornito ai titolari dei diritti sulle opere in base all’applicazione delle eccezioni al diritto d’autore sono un’altra fonte di preoccupazione. Dalla lettura di una delle prime bozze dell’EUCD, la Società degli archivisti britannica segnala il pericolo che le pressanti richieste di rimborso monetario per ogni copia privata possano ostacolare le attività di studio che in genere richiedono la fotocopia dei testi ospitati dalle biblioteche [8]. Più recentemente, l’Accademia delle scienze francese ha indetto una petizione che mira ad escludere le pubblicazioni scientifiche dall’ambito dell’EUCD: le richieste di “equo compenso”, infatti, possono essere estremamente vantaggiose per gli editori, ma vanno decisamente contro gli interessi degli autori, che in questo caso sono scienziati e ricercatori interessati alla massima diffusione (anche attraverso la copia) dei propri articoli. In una situazione come questa si vede il paradosso di una severissima legge sul diritto d’autore che va contro gli autori stessi [9].
Un altro punto importante è la mancanza di chiarezza sulle clausole che regolano l’utilizzo di un’opera, le quali potrebbero prevedere che l’utente accetti delle condizioni rigide, o rinunci a possibilità che, sebbene utili e ritenute generalmente un “diritto”, non sono garantite da alcuna direttiva (con le poche eccezioni del diritto al reverse-engineering sancito dalla direttiva 91/250/CEE 9 e della possibilità di citazione della direttiva 96/9/CE).
Occore infatti considerare che i contratti di licenza che regolano l’utilizzo delle opere coperte da diritto d’autore (si pensi, per esempio, ai programmi per computer) non sono degli accordi “normali” stipulati tra due entità in grado di negoziare le condizioni: sono invece stabiliti da una sola parte (il detentore dei diritti) e sottoposti ad un gran numero di clienti (e per questo sono definite “mass-market licenses”). Inoltre, nel caso delle opere in formato digitale, molto spesso l’utente può leggere la licenza solamente dopo l’acquisto (si pensi ai programmi che visualizzano una schermata contenente il contratto ed i pulsanti “accetto” e “non accetto” — le cosiddette licenze “clickwrap”). In una situazione come questa è facile comprendere come la parte che propone il contratto si trovi in una netta posizione di vantaggio, e come i semplici utenti siano praticamente privi della possibilità di negoziazione.
In casi come questi la legge dovrebbe prevedere delle regole che evitino un abuso della posizione dominante — ma le condizioni d’uso per lo opere in formato digitale in generale sono ancora scarsamente regolamentate, e per gli utenti esiste il rischio concreto che un contratto di licenza (magari di tipo “clickwrap”) imponga limiti strettissimi all’utilizzo delle opere [24].
Vi sono infatti già vari casi di licenze sul software proprietario che prevedono gravi limitazioni all’utente finale: si possono fare gli esempi delle licenze di alcuni programmi Microsoft, Oracle e McAfee, che permettono l’utilizzo del software a condizione che l’utente non produca materiale che possa porre in cattiva luce l’azienda o che paragoni i programmi utilizzati con quelli prodotti dalle aziende concorrenti [22]. Altre licenze e condizioni d’uso altrettanto restrittive potrebbero essere applicate a materiale digitale come gli e-book — si può fare l’esempio dei libri scolastici di tipo MetaText, oggi disponibili negli USA: essi impongono un utilizzo limitato nel tempo, e dopo l’“acquisto” sono consultabili solamente per i pochi mesi della durata del corso di studi. Allo scadere del periodo prestabilito, l’accesso all’e-book viene proibito. Questo sistema impedisce la rivendita degli e-book usati (implementando con un sistema software quanto previsto dall’articolo 3 dell’EUCD, illustrato nella sezione 7), e costringe gli utenti a pagare più volte nel tempo per poter accedere ai contenuti. Se gli e-book forniti con queste condizioni di utilizzo aumenteranno, si assisterà ad una progressiva affermazione di modelli di “cultura in affitto” difficilmente arrestabili dall’attuale carenza di garanzie di “fair use” a tutela degli utenti: in assenza di sicuri riferimenti legislativi è facile immaginare che, nelle dispute legali tra consumatori e detentori dei diritti sulle opere, solo la parte dotata dei maggiori mezzi legali e finanziari avrà la possibilità di difendere i propri interessi.
È difficile giustificare le ragioni di questa condotta nella stesura dell’EUCD: l’adeguamento ai trattati WIPO non impedisce la definizione di una posizione comune a livello europeo riguardo le eccezioni al diritto d’autore o la regolamentazione delle condizioni d’uso delle opere. Tale situazione non è probabilmente casuale, ma è l’effetto dell’enorme numero di compromessi e mediazioni tra gruppi d’interesse economico più o meno forte che hanno influenzato la genesi della direttiva. L’opinione è condivisa anche in un articolo [27] di Bernt Hugenholtz, professore di legge dell’Università di Amsterdam (sebbene il punto di vista espresso in questo documento sia decisamente ottimistico, in quanto basato sull’invalidità ed inapplicabilità dell’EUCD).