Allo scopo di comprendere le conseguenze dell’applicazione dell’EUCD nella legislazione europea, può essere utile esaminare le analogie tra tale direttiva ed il Digital Millennium Copyright Act (DMCA) [5], una legge statunitense dalle caratteristiche molto simili, la cui applicazione è stata già causa di preoccupanti effetti sulle libertà di utenti, ricercatori e sviluppatori di software (libero e non). Come l’EUCD, anche il DMCA è stato prodotto per adeguare la legislazione locale sul diritto d’autore (in questo caso quella statunitense) ai trattati WIPO del 1996.
Il DMCA comprende una sezione analoga (e in certe parti quasi identica) all’articolo 6 dell’EUCD, che dichiara illegale l’elusione di “misure tecnologiche” poste a protezione di opere coperte da diritto d’autore, e rende illecita la produzione di dispositivi e programmi o la fornitura di servizi che favoriscano tale operazione:
Sec. 1201. Circumvention of copyright protection systems
Tuttavia, come fa notare Tahita Malago in [28], il DMCA prevede una distinzione tra le “misure tecnologiche” che limitano l’accesso ai materiali coperti da diritto d’autore e quelle che limitano la riproduzione: la legge rende infatti illegale unicamente l’aggiramento dei sistemi che, testualmente, «controllano efficacemente l’accesso ad un’opera protetta». Questa differenziazione è stata evidentemente ricercata per preservare in qualche modo la disciplina del “fair use” che dovrebbe garantire (condizionale d’obbligo) la possibilità per gli utenti di utilizzare in modo ragionevole il materiale coperto da diritti — per esempio, garantendo la copia privata.
L’EUCD, d’altra parte, non prevede alcuna distinzione di questo tipo, e rende illecito l’aggiramento dei sistemi di «controllo di accesso . . . o . . . di controllo delle copie» in toto. Sebbene la diversificazione introdotta nel DMCA sia tutt’altro che efficace (i meccanismi di controllo dell’accesso e della riproduzione non sono sempre facilmente distinguibili, dunque i diritti degli utenti sono tutt’altro che garantiti), è indubbio che, sotto questo aspetto, l’EUCD sia decisamente più severo e restrittivo rispetto all’analoga legge statunitense.
La diretta conseguenza del divieto di aggiramento delle “misure tecnologiche” contenuto nel DMCA è stata l’arresto di un giovane ricercatore e programmatore russo, Dmitry Sklyarov, autore di un programma in grado di leggere e decriptare gli e-book memorizzati nel formato proprietario sviluppato da Adobe. L’applicativo sviluppato da Sklyarov viene tutt’ora utilizzato, per esempio, da persone videolese che decifrano gli e-book regolarmente acquistati, in modo da poterli far leggere da un sintetizzatore vocale.
Adobe potè utilizzare il DMCA come strumento per mantenere il proprio controllo sul formato e-book da essa creato, impedendo la creazione di un programma indipendente in grado di gestirlo. Il 17 Luglio 2001 fece arrestare Sklyarov, mentre egli si trovava negli USA per un convegno sulla crittografia, con l’accusa di distribuzione di software creato per l’aggiramento di “misure tecnologiche” a difesa del diritto d’autore. Egli rimase in carcere per diverse settimane, e potè rientrare nel suo Paese solamente dopo vari mesi e dopo le infinite proteste ed iniziative che nacquero attorno al suo caso. Il procedimento legale in cui egli era imputato è comunque ancora in corso [30]. Occorre notare che Sklyarov e la sua azienda sono stati denunciati ed indagati per violazione del DMCA, ma che essi non sono in alcun modo accusati di violazioni del diritto d’autore su una qualsiasi opera.
Come l’EUCD, il DMCA contiene una formale garanzia di non interferenza tra la tutela legale delle “misure tecnologiche” e la libertà di ricerca sulla crittografia:
Come si può notare, la definizione dei casi in cui la ricerca crittografica può legittimamente operare sulle “misure tecnologiche” è assai dettagliata, e sebbene discutibile e limitata è decisamente meno vaga ed indefinita di quanto riportato dall’EUCD (si veda la sezione 5).
Il caso Sklyarov già citato nella sezione 9.1.1 rappresenta già di per sè un episodio di interferenza del DMCA nella libertà di ricerca: una delle colpe del programmatore e ricercatore russo è infatti stata quella di aver messo in luce le debolezze e le falle di diversi sistemi di protezione delle opere precedentemente ritenuti “sicuri” (e commercializzati come tali). È interessante a questo proposito l’articolo di Bruce Perens in [17]. Tuttavia, è possibile citare un caso ancora più emblematico.
Le ristrette garanzie di libertà di ricerca previste dalla legge statunitense non hanno infatti impedito che Edward Felten, un professore della Princeton University, venisse minacciato di denuncia per violazione del DMCA dalla RIAA (Recording Industry Association of America, l’associazione delle case discografiche statunitensi). Egli aveva partecipato ad un concorso (indetto dalla stessa RIAA) basato sulla decifrazione di alcuni sistemi di codifica per la musica in formato digitale, e sebbene vincitore, aveva deciso di rinunciare al premio e di diffondere i suoi studi sull’intrinseca inefficacia dei sistemi di controllo d’accesso alle opere. Per impedire la presentazione dei lavori di Felten ad un convegno, la RIAA minacciò una denuncia: la diffusione di tali conoscenze avrebbe potuto facilitare l’elusione di “misure tecnologiche” a protezione del diritto d’autore, in violazione del DMCA. Anche in questo caso, Felten ed il suo team non erano in nessun modo accusati di aver compiuto una reale violazione del diritto d’autore.
Il caso si è protratto per alcuni mesi, con una contro-denuncia di Felten nei confronti della RIAA, e si è concluso con una sentenza per fortuna (parzialmente) positiva: Felten avrebbe potuto pubblicare almeno una parte dei suoi studi senza timore di denuncia. Anche in questo caso sono state fondamentali le iniziative sorte spontaneamente attorno al caso [31]. Le limitazioni alla libertà di ricerca contenute nel DMCA e la volontà di una associazione di colossi discografici sono stati tuttavia in grado di intimorire il team di Felten e di impedire per mesi la libera pubblicazione di un lavoro scientifico. Niente assicura che casi simili non possano ripetersi in futuro, con esiti differenti.
Inoltre, nel caso Felten sono state fondamentali le norme del DMCA che offrono una (parziale) possibilità di ricerca sulla crittografia: tali norme sono state infatti utilizzate dalla giuria per garantire al ricercatore il diritto di pubblicare i propri lavori. L’EUCD, tuttavia, non prevede nessuna regolamentazione di questo tipo: è possibile rilevare solamente un generico principio di non interferenza tra la tutela legale delle “misure tecnologiche” e la ricerca crittologica (si veda la sezione 5). Questo non può che rendere ancora più preoccupanti le conseguenze dell’integrazione della direttiva nelle legislazioni dei Paesi membri dell’Unione europea.
In modo analogo all’EUCD ed alla direttiva 2000/31/CE sul commercio digitale, il testo del DMCA comprende una clausola che permette ai detentori dei diritti sulle opere di richiedere la rimozione di siti Internet, sulla base della semplice accusa di presunta lesione del diritto d’autore.
Le direttive europee non prevedono alcuna regolamentazione per le procedure di “notifica e rimozione” (“notice and takedown”) che permettono di oscurare i siti Internet: esse che vengono lasciate completamente a discrezione dei singoli Stati memnri.
Il DMCA, essendo una legge in vigore, è invece preciso nel descrivere le tali procedure, e nell’illustrare i passaggi che l’utente dovrebbe seguire per tentare di far rimuovere la censura dal proprio sito:
SEC. 202. LIMITATIONS ON LIABILITY FOR COPYRIGHT INFRINGEMENT.
(a) IN GENERAL — Chapter 5 of title 17, United States Code, is amended by adding after section 511 the following new section:
Sec. 512. Limitations on liability relating to material online
Come si può vedere, il DMCA rende gli ISP responsabili dei contenuti pubblicati dagli utenti, e allo stesso tempo (nel paragrafo (g)(1)) li solleva dalla possibilità di essere denunciati da questi ultimi qualora venga effettuata la censura delle pagine Web su richiesta di terzi. In tal modo gli utenti non potranno appellarsi ad un tribunale per contestare la lesione della propria libertà di espressione da parte dello stesso ISP, ma dovranno muoversi direttamente contro la persona o la società che ha richiesto la censura (che potrebbe essere un colosso dell’editoria o del software).
Inoltre, nel paragrafo (g)(2) viene illustrata la macchinosa procedura che l’utente dovrebbe seguire per difendere i propri diritti: dopo l’oscuramento del proprio sito, egli ha 10 giorni di tempo per spedire una contronotifica (“counter notification”) che segnala l’infondatezza della censura; in seguito deve attendere altri 10/14 giorni durante i quali la parte che ha richiesto la censura potrebbe rivolgersi ad un tribunale. Occorre notare che durante i giorni così trascorsi il materiale pubblicato non sarebbe accessibile — e già questo rappresenta, di fatto, una censura eseguita senza alcun intervento legale.
La “clausola di rimozione” del DMCA ha finora causato un gran numero di oscuramenti di siti Internet, passati per la maggior parte inosservati perchè quasi nessuno degli utenti colpiti ha avuto il coraggio di cercare tutela in tribunale: nella gran parte dei casi, infatti, l’avversario sarebbe stato una grossa azienda dai mezzi enormemente superiori.
Questa tesi è confermata da un documento [20], pubblicati dalla WIPO, riguardante gli effetti della “clausola di rimozione” del DMCA. Esso infatti illustra il caso dei siti ospitati da Yahoo!:
As a practical matter, notice and take down begins and ends the debate over whether a site stays up. Most service providers have little incentive to incur the costs and risks of litigation and will opt for the safe harbor, taking the site down. Users can provide a “counter notification” . . . but very few users choose this option in Yahoo!’s experience. . . . The vast majority of cases, . . . totaling thousands every quarter at Yahoo! involve no counter notification; the materials are taken down and stay down. This may be expedient and efficient, but to some extent it represents a might makes right resolution that gives little or no consideration to the validity of the copyright interest being asserted, its ownership, the permissible scope of protection, or defenses such as parody, fair use, de minimis use, and so on. 10.
Ancora, in un altro documento [21] pubblicato dalla WIPO si legge:
. . . in my opinion . . . the DMCA “direct notice” model does not totally eliminate the threat of large and powerful organisations pressurising smaller players or private individuals. . . . if the customer is a much smaller player they may simply bow to the larger player because they do not have the resources to fight it or, in the case of private individuals, because they are not aware of the legal defences available to them 11.
Uno dei casi più clamorosi di utilizzo della “clausola di rimozione” del DMCA è stato quello di Blizzard Entertainment , che ha cercato di far chiudere il progetto bnetd — un applicativo libero che offriva agli utenti dei videogame Blizzard l’opportunità di disputare tornei in multiplayer via Internet, senza essere costretti ad utilizzare il servizio Battle.Net gestito dallo stesso produttore di videogiochi. La spinta alla creazione del progetto bnetd è infatti stata la mole di problemi e lacune tecniche di Battle.Net, che impedisce ad un gran numero di utenti di poter usufruire dell’opzione multiplayer dei videogame acquistati (i dettagli sono illustrati in http://www.bnetd.org/project.php).
Dal punto di vista della Blizzard Entertainment, tuttavia, le agevolazioni per gli utenti e gli usi legittimi del progetto bnetd sono secondari rispetto alla possibilità che tale programma potesse in qualche modo agevolare l’utilizzo di copie prive di licenza dei propri prodotti: il sistema bnetd infatti offre l’opportunità di gioco on-line senza implementare un controllo d’accesso basato sul codice identificativo che accompagna i CD-ROM contenenti i videogiochi. Il 19 Febbraio 2002, i legali della Vivendi Universal Games (che possiede il marchio Blizzard) spedirono una lettera all’ISP che ospita il sito del progetto bnetd, intimandone la rimozione secondo le norme contenute nel DMCA. La richiesta di censura veniva motivata dalla presunta distribuzione di software in grado di alterare o aggirare delle “misure tecnologiche” a protezione dei videogiochi Blizzard (affermazioni peraltro assolutamente non vere nel caso di bnetd). Di fronte a queste intimidazioni il software fu rimosso dal sito — e nonostante ciò l’ISP ed il promotore del progetto furono in seguito denunciati per presunte violazioni del diritto d’autore e dei marchi registrati legati a Blizzard.
Come nei precedenti casi di Sklyarov e Felten, occorre notare che i promotori del progetto bnetd non sono accusati di alcuna effettiva violazione del diritto d’autore, quale potrebbe essere l’utilizzo o la distribuzione illecita di copie dei programmi prive di licenza — ma una lettera di Blizzard è stata tuttavia sufficiente a censurare il sito Internet del progetto. La disputa legale tra Blizzard ed Electronic Frontiers Foundation (che appoggia il team bnetd) è tutt’ora in corso. Ulteriore documentazione e riferimenti sono reperibili in [32].
Quelli citati sono solamente tre dei casi più noti legati all’applicazione del DMCA. Un elenco completo sarebbe decisamente più lungo, e comprenderebbe situazioni in cui il DMCA è stata la causa di:
Le enormi possibilità di denuncia ed azione legale offerte ai colossi dell’editoria e del software hanno inoltre creato un clima di tensione che, specialmente nel campo della ricerca e dello sviluppo di software libero, spinge molti scienziati e programmatori a tenersi lontani dagli Stati Uniti per timore di ripercussioni legali sulla propria attività, sull’esempio del caso Sklyarov. Tutte questi avvenimenti sono legati all’applicazione di norme del DMCA pienamente condivise dall’EUCD e dalla direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico.
Per una trattazione esauriente delle conseguenze dei tre anni di applicazione del DMCA (comprendente anche i casi finora citati come esempio) è possibile consultare i documenti della Electronic Frontiers Foundation in [33], e di Siva Vaidhyanathan in [34]. La notizia di uno degli ultimi casi di utilizzo del DMCA come strumento di censura (da parte di Hewlett-Packard) è inoltre reperibile in [35].