6 Le possibilità di rimozione dei siti Internet e la direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico

Tra le norme create per agevolare gli investimenti nel mercato del diritto d’autore, l’EUCD prevede la concessione di nuove possibilità di azione legale contro la violazione dei diritti sulle opere.

Nei considerando introduttivi, l’EUCD recita:

(58)
Gli Stati membri dovrebbero prevedere mezzi di ricorso e sanzioni efficaci contro le violazioni dei diritti e degli obblighi sanciti nella presente direttiva. Dovrebbero adottare tutte le misure necessarie a garantire l’utilizzazione dei mezzi di ricorso e l’applicazione delle sanzioni. Le sanzioni dovrebbero essere efficaci, proporzionate e dissuasive e includere la possibilità del risarcimento e/o di un provvedimento ingiuntivo e, se necessario, di procedere al sequestro del materiale all’origine della violazione.
(59)
In particolare in ambito digitale, i servizi degli intermediari possono essere sempre più utilizzati da terzi per attività illecite. In molti casi siffatti intermediari sono i più idonei a porre fine a dette attività illecite. Pertanto fatte salve le altre sanzioni e i mezzi di tutela a disposizione, i titolari dei diritti dovrebbero avere la possibilità di chiedere un provvedimento inibitorio contro un intermediario che consenta violazioni in rete da parte di un terzo contro opere o altri materiali protetti. Questa possibilità dovrebbe essere disponibile anche ove gli atti svolti dall’intermediario siano soggetti a eccezione ai sensi dell’articolo 5. Le condizioni e modalità relative a tale provvedimento ingiuntivo dovrebbero essere stabilite dal diritto nazionale degli Stati membri.

Queste linee di condotta sono poi formalizzate nell’articolo 8:

Articolo 8
Sanzioni e mezzi di ricorso

. . .
3
Gli Stati membri si assicurano che i titolari dei diritti possano chiedere un provvedimento inibitorio nei confronti degli intermediari i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare un diritto d’autore o diritti connessi.

Quest’ultimo paragrafo dell’EUCD si lega direttamente a quanto introdotto da un’altra direttiva europea che diventa estremamente importante in questo contesto: la direttiva 2000/31/CE riguardante «taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico» [4]. Il considerando 16 dell’EUCD infatti recita:

(16)
La responsabilità per le attività in rete riguarda, oltre al diritto d’autore e ai diritti connessi, una serie di altri ambiti, come la diffamazione, la pubblicità menzognera o il mancato rispetto dei marchi depositati, ed è trattata in modo orizzontale nella direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (Direttiva sul commercio elettronico)(4) che chiarisce ed armonizza vari aspetti giuridici riguardanti i servizi della società dell’informazione, compresi quelli riguardanti il commercio elettronico. La presente direttiva dovrebbe essere attuata in tempi analoghi a quelli previsti per l’attuazione della direttiva sul commercio elettronico, in quanto tale direttiva fornisce un quadro armonizzato di principi e regole che riguardano tra l’altro alcune parti importanti della presente direttiva. Questa direttiva lascia impregiudicate le regole relative alla responsabilità della direttiva suddetta.

La direttiva 2000/31/CE, come l’EUCD, prevede l’introduzione di alcune nuove norme che, perseguendo l’obiettivo di tutelare forti interessi economici, finiscono per danneggiare i diritti e le libertà dei comuni utenti della rete Internet.

In particolare, gli articoli 12, 13 e 14 della direttiva 2000/31/CE rendono gli “intermediari” che offrono servizi di accesso alle informazioni su Internet (per esempio gli Internet Service Provider, ISP, ma non solo) responsabili dei contenuti pubblicati dagli utenti, costringendoli di fatto alla rimozione delle pagine di questi ultimi non appena fosse segnalata una qualsiasi presunta illegalità (inclusa una possibile violazione del diritto d’autore):

Articolo 12
Semplice trasporto (mere conduit)

1
Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, o nel fornire un accesso alla rete di comunicazione, il prestatore non sia responsabile delle informazioni trasmesse a condizione che egli:
a)
non dia origine alla trasmissione;
b)
non selezioni il destinatario della trasmissione; e
c)
non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse.
. . .

Articolo 13
Memorizzazione temporanea detta caching

1
Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile della memorizzazione automatica, intermedia e temporanea di tali informazioni effettuata al solo scopo di rendere più efficace il successivo inoltro ad altri destinatari a loro richiesta, a condizione che egli:
a)
non modifichi le informazioni;
. . .
e)
agisca prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato, o per disabilitare l’accesso, non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo dove si trovavano inizialmente sulla rete o che l’accesso alle informazioni è stato disabilitato oppure che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa ne ha disposto la rimozione o la disabilitazione dell’accesso.
. . .

Articolo 14
Hosting

1
Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore:
a)
non sia effettivamente al corrente del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione, o
b)
non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso.
. . .

Occorre notare che questi ultimi articoli richiedono che l’ISP (o chiunque fornisca servizi di accesso alle informazioni su Internet) rimuova i contenuti pubblicati dagli utenti “non appena al corrente” di un (presunto) illecito. Non è previsto che la segnalazione di illecito (e la richiesta di rimozione) provenga necessariamente da un tribunale (come accade attualmente): essa potrebbe giungere da qualunque fonte più o meno attendibile, ed un ISP potrebbe essere incriminato per non aver «agito immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitare l’accesso».

L’articolo 8, paragrafo 3 dell’EUCD e agli articoli 12, 13 e 14 della direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico incarnano, di fatto, la cosiddetta “clausola di rimozione” (“takedown clause”) dal nome dell’analoga norma presente nel DMCA (si veda la sezione 9): essi permettono ai detentori dei diritti sulle opere di prendere provvedimenti legali non solo contro chi diffonde illecitamente del materiale attraverso Internet, ma anche contro gli “intermediari” che forniscono i mezzi per la pubblicazione e la diffusione di informazioni. La maggiore responsabilità legale di questi soggetti diventa quindi utilizzabile come mezzo intimidatorio per ottenere il rapido oscuramento dei siti Internet — tanto che nei considerando introduttivi dell’EUCD citati poco sopra si dichiara esplicitamente che tale norma è stata voluta proprio per facilitare la rimozione delle pagine Web contenenti materiale considerato lesivo del diritto d’autore.

6.1 Le conseguenze

Il primo punto notevole di queste norme dell’EUCD e della direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico è senza dubbio lo spirito per lo meno discutibile: in sintesi gli ISP (e, più in generale, coloro che offrono servizi di accesso alle informazioni su Internet) vengono resi responsabili dei contenuti pubblicati degli utenti, qualora si rifiutino di rimuoverli non appena a conoscenza della loro “manifesta illegalità”. Non viene tuttavia spiegato come valutare in quali casi l’illegalità sia “manifesta,” o da chi debba provenire la segnalazione che rende “al corrente dei fatti.” La mancanza di dettagli per la procedura di “notifica e rimozione” (“notice and takedown”) lascia ampio spazio all’incertezza legale, alle differenze legislative tra i vari Paesi ed alla possibilità che un ISP venga perseguito legalmente per una pubblicazione non sua, essendosi rifiutato di censurare uno o più siti su richiesta di terzi.

La spinta che ha portato alla stesura di una simile norma ed all’aumento della perseguibilità legale dei fornitori di servizi su Internet è sicuramente l’interesse economico dei detentori dei diritti sulle opere, alla ricerca di nuovi mezzi di indennizzo di fronte all’enorme aumento di violazioni al diritto d’autore (specialmente attraverso la rete) favorite dal progresso tecnologico e dall’evoluzione dei sistemi di comunicazione digitale. Attualmente, infatti, la maggior parte delle violazioni avviene per opera di semplici privati e senza alcun fine di lucro (si pensi ai sistemi di condivisione di file MP3, come Napster) — e dunque il costo delle cause legali necessarie per perseguire ogni attività di copia illecita sarebbe incalcolabile e probabilmente non ripagato dal denaro effettivamente ottenibile come indennizzo in caso di vittoria. L’articolo 8 dell’EUCD e le norme della direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico, tuttavia, permettono ad autori/editori di procedere legalmente, per esempio, anche contro gli ISP che offrono l’accesso ad Internet, o contro i gestori di servizi usati da terzi per attività lesive del diritto d’autore. Poichè tali fornitori di servizi sono numericamente assai inferiori rispetto agli utenti teoricamente denunciabili, e sono generalmente dotati di risorse finanziare sufficienti a fornire un indennizzo adeguato in caso di vittoria in tribunale, questa legge non può che essere un vantaggio per i detentori dei diritti sulle opere.

Il risultato di questa condotta dell’EUCD e della direttiva 2000/31/CE è chiaramente sintetizzato in un articolo pubblicato dalla Associazione per la libertà nella comunicazione elettronica interattiva (ALCEI) [19]:

Dietro le formule . . . contenute nelle direttive europee 2000/31/CE e 2001/29/CE . . . si nasconde il pericoloso mutamento dei principi giuridici sulla responsabilità dell’internet provider e, più in generale, dei fornitori di servizi internet. Il provider viene, di fatto, trasformato in un giudice-poliziotto, che per evitare di essere chiamato a rispondere in prima persona del comportamento illecito degli utenti, sarà costretto ad esercitare censure, filtraggi e controlli più o meno palesi su quanto accade nei propri server. E questo quando oramai, almeno in Italia, sembrava un dato acquisito (anche dalla giurisprudenza) che l’unica responsabilità ipotizzabile a carico del provider fosse quella fondata sul concorso nell’illecito (per concorso, lo ricordiamo a chi non fosse un esperto del diritto, si intende la partecipazione attiva nella commissione di un reato).

La “clausola di rimozione” implica dunque delle conseguenze assai preoccupanti per quanto riguarda la libertà di espressione su Internet. L’articolo 8 dell’EUCD e gli articoli 12, 13 e 14 della direttiva 2000/31/CE, una volta integrati nelle legislazioni degli Stati dell’Unione europea, potrebbero permettere ai detentori dei diritti sulle opere (e non solo) di far oscurare del materiale “scomodo” ma non necessariamente illegale senza passare per un tribunale, e senza che la persona responsabile della pubblicazione sia in grado di far valere le proprie ragioni per evitare la censura. Il numero di accuse utilizzabili per giustificare la richiesta di oscuramento di siti non graditi è estremamente ampio, e, come riportato nel già citato considerando 16, comprende la presunta diffamazione, la presunta violazione del diritto d’autore o di marchi registrati, la presunta pubblicità menzognera.

Si supponga, per esempio, che un utente pubblichi del materiale satirico/parodistico sul proprio sito Internet ospitato da un ISP (ricordiamo che la citazione a scopo di parodia rientra tra le eccezioni al diritto d’autore — ovvero, tra i diritti degli utenti). In condizioni normali, il detentore dei diritti che si ritenga danneggiato dalla pubblicazione dovrebbe procedere direttamente contro l’utente, il quale avrebbe la garanzia di vedere il suo caso esaminato da un tribunale che giudichi l’effettiva punibilità delle sue azioni. Solo dopo questo esame il materiale incriminato potrebbe essere eventualmente rimosso da Internet.

L’EUCD e la direttiva 2000/31/CE, tuttavia, stabiliscono che anche gli ISP sono responsabili dei contenuti delle pubblicazioni dell’utente. Questo implica che, con una semplice telefonata, i detentori dei diritti sul materiale oggetto di parodia potrebbero richiedere all’ISP di rendere inaccessibili le pagine Web di uno o più utenti, minacciando azioni legali in caso di rifiuto; a questo punto l’ISP, poco interessato ai contenuti pubblicati, posto di fronte al rischio di una causa contro un colosso dell’editoria potrebbe decidere di provvedere immediatamente alla censura. In tal modo il detentore dei diritti avrebbe ottenuto il suo scopo (la rimozione almeno temporanea del sito) senza alcun passaggio in tribunale, mentre chi ha pubblicato il materiale si ritroverebbe privato della libertà di espressione, e con ben pochi mezzi legali a tutela dei propri diritti — anche perché il contratto stipulato con l’ISP, in genere, non esclude la possibilità di rimozione del sito in caso di lamentele.

L’EUCD e direttiva 2000/31/CE potrebbero essere quindi utilizzate come strumento di censura anche in situazioni in cui un procedimento legale teso a limitare la libertà di espressione avrebbe ben poche possibilità di successo. A questo proposito, Martin Keegan scrive in [25]:

The rightolder may be able to prevail in his aim of having the offending material removed from the Internet without even having to fight a court action. He may be able to thwart several infringers with a single action if they are all customers of the same ISP, and were the case to reach a court, may recover much more in damages than he could from the actual infringers.

This may seem to be an excellent remedy for the problems faced by the rightholder on the Internet, until one considers the following small matter: the rightholder may succeed in contriving to avoid fighting a court action which he would have had no chance of winning, and still achieve the desired outcome. This outcome may effectively involve silencing (at least temporarily) some individual or group. Such silencing may in fact be the rightholder’s sole motivation (as opposed to enforcing his copyright) 6.

La possibilità che un utente che si vede oscurare un sito sia poi in grado di intraprendere un procedimento legale contro l’azienda o la società che ne ha preteso la censura appare poi molto remota. In due documenti pubblicati dalla WIPO e riguardanti gli effetti della “clausola di rimozione” [20] [21] si rileva che i siti di cui viene richiesto l’oscuramento, in genere, non tornano mai attivi: nessun service provider corre il rischio di opporsi alla richiesta di censura, gli utenti non si sentono in grado di sostenere una battaglia legale contro una azienda dai mezzi finanziari enormemente superiori, e in questo modo il procedimento di “notifica e rimozione” finisce per essere una potente arma nelle mani dei detentori dei diritti sulle opere, sempre efficace al di là della fondatezza delle richieste di rimozione o dei diritti degli utenti. Le parti salienti di questi documenti WIPO saranno citate più avanti, quando verranno esaminati i rapporti tra EUCD e DMCA, nella sezione 9.3.

Bisogna aggiungere che l’ambito dei soggetti colpiti dall’articolo 8 dell’EUCD e dagli articoli 12, 13 e 14 della direttiva 2000/31/CE non si limita ai soli fornitori di accesso ad Internet o di spazio web. Per esempio, come viene fatto notare nel già citato documento di ALCEI [19], secondo le definizioni della direttiva 2000/31/CE anche un motore di ricerca può essere considerato responsabile del pagine indicizzate, dato che il servizio, pur essendo simile ad un “semplice trasporto” di informazioni (“mere conduit”), comprende in genere una selezione ed un filtraggio dei collegamenti ipertestuali raccolti. Dunque diventa possibile esigere la rimozione dei link a siti ritenuti “illegali” tramite una semplice telefonata alla società che gestisce il servizio di ricerca, dietro la minaccia di denuncia per corresponsabilità in base a quanto stabilito da EUCD e direttiva 2000/31/CE. Casi come questi (riguardanti sia gli ISP, che i motori di ricerca) sono già realtà negli USA, a causa dell’applicazione del DMCA (si veda la sezione 9).

Occorre inoltre notare che le novità legali introdotte nell’articolo 6 dell’EUCD e riguardanti le “efficaci misure tecnologiche” permettono ai detentori dei diritti sulle opere di poter richiedere l’oscuramento di siti in cui non siano ravvisata nè supposta alcuna reale violazione del diritto d’autore. Come illustrato nella sezione 5, l’articolo 6 dichiara illegale l’offerta di servizi o informazioni che possano agevolare l’elusione di “efficaci misure tecnologiche”. Di conseguenza, un articolo o un documento (per esempio scientifico) che possa anche marginalmente fornire informazioni in tal senso (o che sia accusato di farlo, anche in mancanza di prove reali) potrebbe essere reso inaccessibile con una semplice telefonata, senza peraltro che nel contenuto si rilevi un effettivo uso illecito di materiale coperto da diritto d’autore. Lo stesso dicasi per un sito che distribuisca del software (magari libero) ritenuto in grado di agevolare delle elusioni a “efficaci misure tecnologiche”. In tutti questi casi, in base all’EUCD ed alla direttiva sul commercio elettronico la persona oggetto di censura dovrebbe subire la lesione delle proprie libertà, e solo a fatto compiuto potrebbe cercare di stabilire se e come sia possibile ottenere una tutela.

L’articolo 8 dell’EUCD e gli articoli 12, 13 e 14 della direttiva 2000/31/CE implicano quindi che chiunque sia semplicemente accusato di aver compiuto una azione ritenuta illecita possa subire delle restrizioni ai propri diritti da fonti esterne al sistema giudiziario, e prima ancora di poter eventualmente avere una audizione in tribunale. È ben difficile trovare una compatibilità tra queste conseguenze e la Convenzione europea sui diritti umani [26], che nell’articolo 6, paragrafo 1 afferma:

In the determination of his civil rights and obligations or of any criminal charge against him, everyone is entitled to a fair and public hearing within a reasonable time by an independent and impartial tribunal established by law 7.

Inoltre, come effetto secondario, l’aumento della perseguibilità legale degli ISP e dei soggetti che offrono l’accesso alle informazioni su Internet potrebbe risolversi in un aumento dei costi di accesso ai servizi: tali costi devono infatti coprire anche i rischi che le aziende affrontano nella loro attività, ed un aumento di questi ultimi sarebbe necessariamente pagato da tutti i semplici clienti. Diventa quindi ragionevole supporre, per esempio, che gli ISP saranno costretti a differenziare le condizioni di utilizzo dei propri servizi: potrebbero essere offerti dei contratti più costosi che assicurano il mantenimento on-line del materiale pubblicato anche in caso di lamentele, e dei contratti più economici privi di tali garanzie. Questo fornirebbe una effettiva libertà di espressione solamente ai clienti in grado di permettersi il primo tipo di servizio.

Una trattazione esaustiva delle conseguenze dell’articolo 8 dell’EUCD è contenuta “EUCD: the Takedown Clause” [25], pubblicato su openrevolt.org (sebbene in questo documento non sia citata la direttiva 2000/31/CE). I punti brevemente illustrati, tuttavia, descrivono adeguatamente lo strapotere legale fornito ai detentori dei diritti sulle opere, la condizione di inferiorità degli utenti e, più in generale, le profonde ingiustizie derivanti dalla combinazione degli articoli 12, 13 e 14 della direttiva sul commercio elettronico e degli articoli 6 e 8 dell’EUCD.