Questo punto è decisamente importante, e merita una breve digressione. In tutti gli Stati il concetto di “diritto d’autore” (in alcune legislazioni rappresentato dall’analogo concetto di “copyright”) nasce come costrutto legale che concede agli autori particolari privilegi e prerogative, giustificati dalla loro utilità come incentivo alla produzione di nuove opere e quindi dalla spinta fornita alla diffusione della cultura nell’intera società. Tali privilegi sono attualmente incarnati dal monopolio sulla riproduzione dei propri lavori d’intelletto, che permette agli autori di poter contrattare la pubblicazione con gli editori, e garantisce a questi ultimi una esclusiva in grado di incentivare l’investimento editoriale. La moderna legislazione sul diritto d’autore si sviluppò durante il 1600/1700, dopo l’avvento della stampa a caratteri mobili di Gutenberg, quando una limitazione alle riproduzioni di un libro poteva incoraggiare un editore alla pubblicazione (dato che limitava la concorrenza di altri editori). All’epoca, l’offerta di un monopolio sulla stampa non rappresentava, di fatto, un danno diretto per i lettori: essi non potevano permettersi la proprietà dei mezzi di stampa, e dunque copia e diffusione dei libri erano necessariamente limitate a ristretti canali editoriali. Pur essendo passibile di critiche e miglioramenti, questa legislazione sul diritto d’autore non era quindi percepibile come una reale limitazione (almeno per maggior parte delle persone), e favoriva l’aumento del numero di opere pubblicate: il compromesso rappresentato dalla legge (monopolio su una attività comunque accessibile a pochi come incentivo alla diffusione della cultura) era quindi positivo nell’ottica della tutela del pubblico interesse.
Il progresso tecnologico ha tuttavia modificato il contesto che rendeva accettabile tale legislazione: la possibilità di riprodurre opere in formato digitale è oggi disponibile a bassi costi per un ampio numero di persone, attraverso un semplice computer — dunque un monopolio sulla riproduzione limita direttamente una attività accessibile ad una gran parte della società, rivelandosi un impedimento artificioso alla diffusione delle opere al di fuori di angusti e predeterminati canali editoriali. Il “diritto d’autore” che originariamente poteva servire come incentivo agli autori ed alla diffusione della cultura viene quindi trasformato in un freno legale più orientato al preservamento di un monopolio editoriale che alla ricerca del massimo beneficio pubblico. Per questo motivo, da diversi fronti viene richiesta una profonda revisione dell’attuale legislazione sul diritto d’autore che tenga conto del mutamento delle condizioni che ne hanno favorito la definizione (ormai distanti 400 anni), e ne riveda i mezzi giuridici in modo che essi continuino a rappresentare un adeguato compromesso tra l’offerta di incentivi ad autori/editori e la tutela dell’interesse della collettività. Ulteriori approfondimenti su questo tema sono reperibili nei lavori di Richard Stallman [10], Georg Jakob [11] e Philippe Aigrain: [12]. Interessante anche l’articolo di Giancarlo Livraghi [13]. Una analisi storica della legislazione su diritto d’autore e copyright è invece reperibile nei lavori di Giovanni Ramello e Francesco Silva [14], e di Paul Edward Geller [15] (quest’ultimo articolo comprende anche alcuni commenti sul DMCA e sulla direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico [4] che verrà citata più avanti, nella sezione 6).